26 gennaio 1994 -- Berlusconi: perchè scendo in campo.

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Caro direttore,

è la seconda volta che abuso della sua cortesia per dialogare con il professor Panebianco e garbatamente polemizzare con lui. Come può immaginare, è per me una sofferenza intellettuale il trovarmi d'accordo con la sostanza di un articolo sul futuro di questo Paese, e tuttavia non condividerne il risvolto decisivo, quello che mi riguarda personalmente. Panebianco torna a dire che l'Italia dovrebbe, per essere migliore, dividersi civilmente in due poli politici alternativi tra loro, ma aggiunge che la mia discesa in campo sarebbe di ostacolo affinché questo accada. Sulla prima affermazione concordo pienamente, sulla seconda no. E cerco di spiegare perché. Se il 27 di marzo potessimo scegliere tra un cartello delle sinistre, i cui caratteri già conosciamo bene, e un polo delle libertà costituito e attrezzato per gareggiare sul serio, e vincere, il problema Berlusconi non esisterebbe. Ma così non è. L'appello che ho rivolto a chi ha buona volontà, in favore dell'unità dei liberali e dei democratici, non è rimasto inascoltato, questo è vero. Se penso alla situazione di appena un mese fa, all'indomani delle elezioni amministrative, mi vien fatto di dire che una certa Italia, quella che non si vuole affidare alle cure degli ex comunisti e apparentati, è passata con rapidità eccezionale da un mal sottile, rinunciatario e perdente, a uno spirito di autentico ottimismo e, se posso osare, di speranza. Mi sembra questo uno dei motivi, e non tra gli ultimi, che hanno convinto Mario Segni a uscire dall'isolamento cupo, orgoglioso e pessimista in cui quell'ottima persona che è Mino Martinazzoli lo avrebbe voluto confinare. E ancora mi auguro, inguaribilmente fiducioso come sono, che i popolari si lascino contagiare felicemente da questo fatto nuovo. Qualcosa però continua a mancare. Senza un ampio accordo politico ed elettorale, articolato e differenziato quanto si voglia, il compito di dare alla maggioranza moderata e liberale degli italiani una rappresentanza politica adeguata non sarà assolto. E oltre all'accordo, perché non sia un pezzo di carta, occorre avere la determinazione a combattere, senza animosità ma con un'attitudine aperta e schietta. Il fattore umano è importante in tutte le cose. Una iniezione di forze sociali che non abbiano fatto della politica un mestiere è decisiva per passare nei fatti dalla prima alla seconda Repubblica. C'è poi un elemento squisitamente politico da considerare. La tentazione consociativa resta fortissima. L'idea che questa legge elettorale maggioritaria debba essere nei fatti tradita, e che al centro del sistema parlamentare e di governo debba ricostruirsi un ibrido molto simile alle maggioranze pasticcione del passato, per di più con gli ex comunisti a far da nuovo centro del centro, circola malignamente ancora in tanti attori della vecchia scena politica. Credo che si debba fare di tutto per impedire un tale esito. Una delega precisa Abbiamo scelto, con un referendum e con una legge maggioritaria, di conferire direttamente al popolo, alla gente, la delega a stabilire chi deve governare e chi deve fare l'opposizione. Sarebbe un bell'affare togliergliela ora, all'ultimo istante, con un escamotage politicante: un bell'imbroglio. La prospettiva di questo nuovo consociativismo, in nome di un centro impotente e galantuomo, è il vero problema delle prossime elezioni politiche. Se il dibattito, con il conflitto sui programmi e le idee e gli interessi (le tasse, la spesa pubblica, il lavoro, le privatizzazioni), non si radicalizza, non si "polarizza", allora non nasce nessun sistema politico nuovo, nessuna vera alternativa ai guasti pluridecennali che Panebianco indica con tanta lucidità. Il mio appello per una vera unità dei liberali e la mia determinazione a impedire un imbroglio ai danni degli elettori dipendono da questo giudizio. Vogliamo finalmente un cambio di governo e di classe politica che non sia il solito cambio trasformistico di regime? Vogliamo finirla con la collusione degli interessi, che Panebianco denuncia, e cominciare l'epoca democratica in cui gli interessi civilmente confliggono? Vogliamo una sfida politica vera in cui chi vince vince e chi perde perde? Salvare i referendum Vogliamo salvare i referendum liberisti, portare fino in fondo la riforma istituzionale avviata con la legge elettorale, difendere il pluralismo dei poteri economici dalla tentazione consociativa, che tanti danni ha fatto alla politica e alla moralità di questo Paese? Se vogliamo tutto questo, e Panebianco mostra di volerlo con tutta la sua pubblicistica, allora non possiamo pensare di ottenerlo con dei mezzi accordi privi di vitalità politica e di chiarezza nei programmi, per poi magari andare, dopo le elezioni, ognuno per la sua strada, e regalare l'Italia a Occhetto, a Bertinotti e a Orlando. Il problema Berlusconi è tutto qui, nella assoluta convinzione che mi sono fatto della necessità di cambiare pagina davvero e di dare una mano perch la nuova pagina sia scritta, ma a caratteri chiari e non sull'acqua. In quest'opera non sono mosso da protagonismo personale, e chiunque sarà d'accordo con me nel portarla a termine sa che chiedo spazio per le mie idee, non per me o per miei uomini. Da alcuni mesi giro l'Italia con l'occhio dell'imprenditore che sente la necessità di una forte svolta politica, dopo i guai del recente passato. Linea di svolta a 180 gradi Posso garantire a Panebianco che su questa linea di svolta, a 180 gradi, si ritrova la stragrande maggioranza dei cittadini di questa Repubblica. Chiedono una vera rappresentanza politica. E mi pare di capire che quel che è sopravvissuto dei vecchi partiti, senza il contributo di un movimento che viene dalla società, non potrebbe o non saprebbe o non vorrebbe dargliela.

Berlusconi Silvio

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(26 gennaio 1994) - Corriere della Sera

(fonte: Berlusconi_perche_scendo_campo_co_0_9401267563.shtml)

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